I tetti di Ferrara

"I tetti di Ferrara" 

  Marco Nava 

    a cura di Maria Marchese

Il tramonto si diffonde fra le nuvole isolate, separate in tutto il cielo. Riflessi di ogni colore, riflessi tranquilli, riempiono le varietà dell’aria in alto, fluttuano assenti nelle grandi pene dell'altitudine. Sui tetti alti, metà-colore, metà-ombre, gli ultimi lenti raggi del sole che scompare assumono forme di colore che non sono né loro né delle cose su cui si posano” 

           Fernando Pessoa


I tetti di Ferrara - Marco Nava 




Marco Nava avviluppa gli ultimi raggi di sole di Pessoa, mutandoli in forme dissolte di colore; ne “I tetti di Ferrara” eleva, con esse, una terra di “sconfine”: oltre il margine, il suolo assume la dimensione dell’archivio, custode di memoria e trasmissione; evolve altresì nella sfera del pensiero e dell’emozione.

L’artista ferrarese rivela, al ciglio, una composizione astratta, ove segno e tinta soffondono le certezze, per mutarle in dissolvenze introspettive; l’esteta celebra quindi uno spazio, che si discosta di molto rispetto all’incipit sensibile, fascinando l’osservatore addentro il piano trascendente.

La iuta accoglie, dapprima, il pigmento oleoso, annichilandone la fuggevolezza, e testimonia la presenza del quotidiano reale ma, medesimamente, la vera concretezza del diastema alternativo.

Nava suggella poi i profili fisici, sintetizzandoli con la spatola, che lima ogni eccesso; l’essenziale possiede la cifra dell’artista, che è pregna di complessità psichiche e emotive.

La vicenda

Marco Nava “prospicit”, dal proprio tetto, simbolo della mente, della parte superna, in assoluto, rivolgendo il proprio pensiero verso l’altro; ammantato quindi dall’intimità dell’imbrunire, raccoglie se stesso per indovarsi nel diverso da sé.

Si pone, in quel momento, numerosi quesiti…

Nell’ossimoro, l’animo dell’artista si dirime: il crepuscolo, nunzio dell’arrivo della notte, del silenzio e del raccoglimento, si sposa alla luminosità dell’oro, creando, all’opposto, un’atmosfera di rivelazione.

L’obrizo e la luce dominano, mutando nello “scrinuim”, in cui il valore dei rapporti umani, dell’apertura verso il mondo esterno, della saggezza, nonché della perseveranza nel raggiungimento di necessari e alti obbiettivi, prendono corpo, vivificandosi.

Sulla tela, Marco Nava dimora impalpabili volizioni, che ritrae come porporini e passionali accenti, come vinosi e spirituali virgole, come bluastre esclamazioni, oscure presenze, rosate porzioni di derma, architettura umana… reclamando passioni e silenzi, terreni e non.

Carl Gustav Jung affermò di aver realizzato la sua Torre di Bollingen  - per “dare una qualche rappresentazione in pietra dei miei più interni pensieri e del mio sapere. O per dirla diversamente, dovevo fare una professione di fede in pietra” - 

La casa è un vero e proprio archetipo: essa è lo spazio per la formazione dell’individualità, è il grembo che serba e cela la gestazione di profonde dinamiche, personali e di gruppo; il tetto ne preserva sicurezza e unicità.

Le sapienti e intuitive “pennellate a spatola” di Nava profumano di futurismo e imporporano un ritratto umano, sinossi e dell’individuo e del rapporto di quest’ultimo con gli altri.


Ferrara 



Come in altre opere, il pittore ferrarese sottolinea l’imprescindibile legame con la propria città, che è gemma preziosa e iniziatica: il luogo caro del cuore è “partenza e tornanza”.